Nativo di Santa Croce del Sannio (Benevento), apparteneva all’ordine dei Somaschi (dal nome della loro prima fondazione a Somasca, nel comune di Vercurago). Fu nominato vescovo di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi il 30 settembre 1921, quando era parroco della chiesa di S.Martino in Velletri, da Papa Benedetto XV e consacrato il 1° novembre dello stesso anno nella Cattedrale di S. Clemente della stessa città. Egli fece il suo ingresso nella nostra città il 5 novembre dello stesso anno e assunse come motto araldico: “Fortiter et suaviter” (Fortemente e dolcemente, ovvero con forza e con dolcezza).
Fu uomo energico, rigoroso e impulsivo, intransigente e rigido; qualità che spesso suscitavano antipatie nelle persone che egli spesso riprendeva, laici o preti, sia in pubblico che in privato, anche durante le funzioni liturgiche.
Possiamo dire che il suo episcopato fu incentrato nella realizzazione di quattro punti essenziali a cui si dedicò con tenacia e dolcezza per essere in linea con il suo motto:
Durante il suo episcopato, i rapporti con l’Arciconfraternita della Morte furono tutt’altro che sereni. Contrario allo sperpero nelle feste patronali, come all’eccessivo attaccamento alle processioni precedenti la Pasqua, Mons. Gioia, fin dall’inizio del suo mandato episcopale aveva cercato di attuare un ridimensionamento di questi riti tradizionali, agendo con risolutezza e destrezza.
Un esempio di questa sua condotta lo troviamo in un “editto per la Quaresima del 1927”, da lui firmato in data 22 febbraio 1927. Ecco il testo:
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“Ai confratelli della Morte ordiniamo di regolare le processioni di Maria Vergine Addolorata nel modo seguente. Nel venerdì di passione porteranno in processione il gruppo della Pietà, quasi ad indicare il tema del dramma di dolore che cominciava a rappresentarsi. Nella notte del venerdì al sabato santo porteranno invece la Madonna Addolorata con la croce senza Gesù e con Lei tutte le altre statue secondo la consuetudine, curando che la processione esca in tempo per poter rientrare all’ora stabilita”.
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Mala tempora currunt! (Brutti tempi corrono!) si diceva da più parti leggendo quel tassativo e laconico comunicato vescovile. Quale la “ratio” di questo editto? Per Mons.Gioia, il fatto che il sabato santo si portasse in processione il Cristo Morto sulle ginocchia della Madre quando, secondo la cronologia degli eventi, era già nel sepolcro, costituiva un rospo che non riusciva a ingoiare. D’altro canto, gli amministratori della Morte erano irremovibili nella loro secolare tradizione: la Madonna del venerdì di passione era e doveva essere l’Addolorata;
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L’ editto del vescovo provocò delle reazioni negative sia nei confratelli della Morte, sia nella stessa popolazione di Molfetta. “A lé Mòrte cheménnìmme néue, ìdde scèsse a cheménné a le prìevete e a le mùnece de la Cappecciàiene” (Alla Morte comandiamo noi, lui andasse a comandare ai preti e ai monaci dei Cappuccini), dicevano i confratelli del sacco nero. A questa intransigente presa di posizione, faceva eco l’intera popolazione: “Re precessiàune nèn ze chéngene, Ménzegnòre scèsse a cheménné o paiàiese da’ddó a venéute” (Le processioni non si cambiano, Monsignore andasse a comandare al paese donde viene).
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Pertanto, l’ordine impartito con l’editto non fu mai eseguito. Negli anni successivi quello che il vescovo potette ottenere fu l’anticipo di mezz’ora all’orario di uscita della processione: cioè l’uscita di S. Pietro alle 23 anzicchè alle 23.30 e l’uscita della Pietà alle 23.30 anzicchè a mezzanotte. In questo modo l’uscita del gruppo della Madonna col Cristo in grembo sarebbe rientrata nel tempo cronologico del venerdì e non del sabato santo.
Ma Mons.Gioia non si dava per vinto, non si rassegnava all’idea di dover rinunciare alle sue proposte innovative per cui con pazienza aspettava il momento in cui avrebbe dato scacco matto all’Arciconfraternita della Morte e al popolo di Molfetta. E l’occasione si presentò nella Pasqua del 1934 allorquando Papa Pio XI (al secolo Achille Ratti) concluse il Giubileo straordinario della Redenzione indetto con bolla “quod nuper” del 6 gennaio 1933 per ricordare il 19° centenario della morte e resurrezione di Cristo. Il momentoculminante di quel Giubileo fu nella canonizzazione di S. Giovanni Bosco (1815 – 1888), fondatore della congregazione dei Salesiani.
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L’Arciconfraternita della Morte, sotto il priorato di Vito Onofrio Binetti, con un suo comunicato, modificò il calendario delle processioni nel modo seguente:
23 marzo (venerdì di passione) alle ore 18 uscita dell’Addolorata, seguendo il tradizionale percorso;
24 marzo (sabato antecedente la domenica delle palme) uscita della Pietà e dopo aver percorso via Morte, via Piazza, e un tratto di corso Dante rientro in Cattedrale. Qui rimase per tre giorni animati da un triduo di preghiere predicato da Mons.Vittorio Consigliere, vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola, già Predicatore Apostolico;
27 marzo (martedì santo) alle sei pomeridiane la Pietà fu riportata dalla Cattedrale alla chiesa del Purgatorio, percorrendo corso Dante, via S.Angelo, via Sergio Pansini, via S. Benedetto, via S. Domenico, corso Dante, chiesa del Purgatorio. Si trattò di una solenne processione alla quale parteciparono: il Vescovo, le autorità civili con il Podestà Stefano De Dato, il Capitolo Cattedrale con l’Arcidiacono Mons.Felice Carabellese, il Seminario Regionale con il Rettore Mons. Pietro Ossola il Seminario Diocesano, i Frati Minori del Santuario della Madonna dei Martiri con il Guardiano, Padre Gaetano Spina, i padri cappuccini, le varie Confraternite e Associazioni Cattoliche, e tutto il clero;
31 marzo (sabato santo) all’una di notte, uscita della SS. Vergine Addolorata al posto della Pietà, con le altre statue venerate nella chiesa del Purgatorio.
Almeno per una sola Pasqua, Mons. Gioia potette cantare vittoria. L’ anno seguente (1935) la morte lo colse per un attacco di angina pectoris. “Dum anima est, spes est” (Finchè c’ è vita c’ è speranza), direbbe Cicerone (Ad Atticum).
* Testo del prof. Cosmo Tridente.
* Foto dell' archivio del dott. Franco Stanzione.