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QUESTO BLOG E CON IL PAPA

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giovedì 31 marzo 2016

A proposito della processione del Sabato Santo 2016 ... Lettera di un cittadino molfettese

Foto a cura di Cosmo de Pinto.


Sono molti i molfettesi appassionati dei Riti della Settimana Santa che, ogni anno, dopo l'evento pasquale,  mi scrivono in privato per esternare le loro impressioni e, a volte, anche critiche o suggerimenti.
Ciò accade da quando ero Priore dell'Arciconfraternita della Morte negli anni 2004/2009 ma, per motivi di "privacy", non solo non ho mai pubblicato nulla al riguardo, ma non ne ho fatto nemmeno menzione.
Quest'anno la processione del Sabato Santo o della Pietà è uscita anticipatamente alle ore 0.15 anzichè alle ore 11.15 per evitare di incorrere ancora una volta in una situazione di pioggia che le previsioni meteorologiche annunziavano da giorni.
Ciò, se da un lato rimarrà per molti, soprattutto confratelli della Morte, un ricordo bellissimo ed indelebile, per altrettanti molti cittadini ha costituito un motivo di disagio, cavalcato dai soliti denigratori di mestiere per fare "audience" o per rendere più visibile la loro "opaca" ed "evanescente" esistenza nel contesto cittadino.
Non sto qui ad esprimere giudizi personali, in quanto è universalmente conosciuta la mia "posizione" su certi argomenti, per cui vengo al dunque.
Nella mattinata di giovedì 31 marzo, cinque giorni dopo la processione, mi è giunta la seguente lettera, tramite mail.
Derogando a quanto sin qui fatto nel corso degli anni, mi è gradito (omettendo naturalmente il nome dell'estensore) renderla pubblica, a testimonianza di come, in tutto il bel calderone di critiche, giuste, fondate, spontanee, ma anche artatamente costruite o fatte per semplice cattiveria, ci siano persone comuni, al di fuori dell'Arciconfraternita della Morte, che non si fanno condizionare nè dai "media locali" e nemmeno da una "istintiva emotività di comodo".
 
 
- Testo della lettera -

Ciao Franco,
io non ho un profilo facebook e, quindi, preferisco scrivere i miei commenti al tuo indirizzo privato. Se riterrai opportuno potrai pubblicarli o trasmetterli a Giulio Pisani, l’autore di quella appassionante lettera ai molfettesi pubblicata questa mattina. Oppure, fai come vuoi. 
Ho letto anche io il suo intervento, che riporto sotto (omissis) e che, premetto, condivido in tutte le sue parti. Avevo deciso di non commentare quanto scritto in questi giorni sui giornali locali sulla vicenda del cambio orario della processione del Sabato Santo. Di mantenere intima la mia opinione. Tutto sommato, potrei dire egoisticamente che io c’ero ed ho partecipato a tutta la processione, pur non essendo un confratello. Come sono certo che tanti altri potevano esserci quella notte, se solo lo avessero voluto. Il primo componente dell’Arciconfraternita della Morte, nel suo intervento, ha chiesto un’opinione ai “pochi devoti presenti”, come lui stesso li definisce. Mi ha tirato per i capelli: Io ero presente. 
Non vorrei prenderla alla larga, con introduzione e parole ad effetto; In aggiunta a quanto scrive Giulio Pisani, vorrei dire che ci sono altri aspetti da considerare: 

1) Partecipare o “vedere la processione” comodi, comodi

Tanti molfettesi, la notte del Sabato Santo, non hanno trovato il tempo di avvicinarsi e pregare almeno per qualche minuto insieme ai confratelli che camminavano lentamente nell’atto penitenziale del Sabato Santo, a conclusione della quaresima. Una finestra di circa dieci ore dalle 00.15 alle 10.30 del mattino. Difficile crederci. Non credo che l’Arciconfraternita debba sentirsi in colpa per queste ragioni. Chiamiamolo con il giusto nome: “atto penitenziale” in cui i confratelli camminano lentamente, pregando e riflettendo. Perché dovrebbero stare comodi? In altre città si usa camminare scalzi e con il viso coperto. Probabilmente sarebbe sufficiente, e più serio che almeno tutti i confratelli avessero il viso il viso coperto. Tanti molfettesi non hanno avuto nemmeno la sensibilità di stare vicino a quel confratello che, costretto su una sedia a rotelle, ha partecipato tutta la notte alla processione. Chissà come ha desiderato esserci a tutti costi e nonostante tutto. Tanto meno a chi spingeva quella sedia. Che fatica! Che sofferenza per entrambi! 

Tanti molfettesi hanno scelto semplicemente di restare a letto, comodi, comodi. Fa parte ormai della consuetudine di molti concittadini di “vedere la processione” nella stessa maniera in cui si assiste ad una sfilata di carri di carnevale. Difficile comprendere, ma pare sia proprio così. E’ una questione di sensibilità. Viene da pensare che probabilmente, non hanno sentito nemmeno l’importanza della partecipazione alla Veglia Pasquale, per il solo fatto che la celebrazione avviene nelle ore notturne. Si preferisce dormire. Ma, ognuno è libero di agire come meglio crede. Poi, un giorno dovrà dare conto della “propria contabilità di vita”

2) Rispetto dell’orario programmato costi quel che costi.

Chi sostiene che bisognava rispettare l’orario prefissato ed in caso di pioggia la processione andava cancellata, non ha rispetto dei tanti molfettesi che vivono fuori città per lavoro e la Settimana Santa rimane forse l’ultimo legame alle loro origini. I loro ricordi e la loro famiglia. Tantissimi non sono riusciti a ritornare quest’anno, nonostante avrebbero voluto farlo e chissà con quanta tristezza e sofferenza. Forse sono ammalati o impossibilitati. I molfettesi che non hanno la fortuna di lavorare in città, non vogliono rompere totalmente gli ormeggi con loro Molfetta. Se per ragioni di lavoro sono costretti a rimanere all’estero o in altre città per tutto l’anno, essi prediligono il periodo di Pasqua a Molfetta. Strappati alle loro radici, alcuni utilizzano tutti i loro risparmi di un anno per poter ritornare nella loro città di origine. Forse si sacrificano con turni massacranti con i colleghi e si organizzano già un anno prima per poter essere presenti il Venerdi Santo e Sabato Santo a Molfetta. Già dal giorno dopo, il loro cuore vibra per la Pasqua dell’anno successivo. 

Per i nostri molfettesi emigranti e marittimi, il “cambio di orario” deciso dall’Arciconfraternita della Morte sabato scorso, per un possibile deterioramento delle condizioni meteorologiche, è stato il sacrificio minore da sostenere. Anzi, si potrebbe dire che per alcuni che amano e sentono particolarmente sulla loro pelle la Settimana Santa, hanno vissuto un inaspettato momento emozionante. Un valore aggiunto: L’odore della notte molfettese ed il silenzio della città addormentata e senza rumori è stato per chi viveva quei momenti, davvero coinvolgente . In certe strade della città, si è creata un ‘acustica particolarmente deliziosa: sembrava di stare in un auditorium e si riusciva perfino ad apprezzare la polifonia degli strumenti della banda che suonava stando anche a centinaia di metri dalla stessa. Forse per la prima volta, anche la confraternita che avanza per prima, si è sentita insieme a quella in coda. Sarebbe stato molto amaro e doloroso se, per un giudizio superficiale, il sabato santo molfettese fosse stato vuoto e silenzioso. 

3) Tradizione - cultura - turismo. 

 Per “formare” una tradizione popolare è necessario: il tempo, la conoscenza e la cultura. Una città senza tradizione e senza storia è una città morta e - di conseguenza - sono morti i suoi abitanti. Non ha senso presentare al BIT le tradizioni molfettesi se gli stessi cittadini di quella città sono indifferenti e non conoscono profondamente. Non è bello dirlo, ma molti molfettesi non amano e non hanno passione delle loro tradizioni. Non potranno tramandare ai figli quello che loro stessi non conoscono. 

Qualcuno ha il compito di difendere tutto questo con passione e devozione. Anche se qualche volta diventa scomodo ed impopolare, la “nottata” aiuta davvero a toccare con mano lo spessore di sensibilità della città di Molfetta. Abbiamo visto, invece, tanta indifferenza e cattiveria del giorno dopo. Mi dispiace per chi avrebbe voluto esserci quella notte e non lo ha davvero potuto fare. Forse non poteva esserci nemmeno se l’orario non fosse stato cambiato.… 

Per concludere, rileggevo un passo del Vangelo di Matteo che dedico ai molfettesi che hanno preferito dormire la notte del Sabato Santo 2016.

GESU' NELL'ORTO DEGLI ULIVI 
Dal Vangelo secondo Matteo. (26, 36-45) …
“restate qui e vegliate con me". …40 Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: "Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". ...43 Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. ...44 Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. ...45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite pure e riposatevi! Ecco, l'ora è vicina".

Ciao 

XXXXX YYYYY (Lettera firmata) 
 

* Testo a cura del dott. Francesco Stanzione.
* Foto gentilmente concesse da Cosmo de Pinto.

sabato 26 marzo 2016

Ricordando don Tonino - Gli auguri di Buona Pasqua

A cura del prof. Cosmo Tridente.

Era la Pasqua del 1986 quando il nostro indimenticabile Vescovo, Don Tonino Bello, inviò un bellissimo messaggio di auguri a tutta la Diocesi con  parole toccanti, vere, profonde e attuali (purtroppo!). Le ripropongo all’attenzione dei lettori di questo sito, ricordando loro che dire “Buona Pasqua” a qualcuno significa comunicargli la gioia di aver incontrato il Cristo Risorto. Che non sia solo un augurio di facciata, di buon costume, di “vecchia” tradizione. Non un augurio sincero nella forma ma falso e privo di significato nella sostanza. Solo così potremo poter dire agli amici, ai parenti, ai conoscenti, agli impavidi e a quanti vivono nella tristezza e nell’angoscia, per loro e per tutti: Buona Pasqua!


Cari amici,
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi
con le formule consumate del vocabolario di circostanza,
vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo
profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall’anima, quasi dall’imboccatura
di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà,
che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per
farvi capire di quanto amore intendo caricarla: “coraggio”!
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore,
è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la
distruzione. Non la catastrofe. Non l’olocausto planetario. Non
la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti
che abusano di voi. Coraggio, disoccupati. Coraggio, giovani
senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad
accorciare sogni a lungo cullati. Coraggio, gente solitaria,
turba dolente e senza volto. Coraggio, fratelli che il
peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che
la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte
a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non
c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che
non rotoli via.
Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie
della vostra prigione.
Vostro don Tonino, vescovo
Buona Pasqua a tutti! 


* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente.
* Foto tratta dal web.

giovedì 24 marzo 2016

Ruvo, “Città di Settimana Santa”, nel ricordo della processione degli Otto Santi di un tempo

http://www.ruvesi.it/ruvo-di-puglia-citta-di-settimana-santa-nel-ricordo-della-processione-degli-otto-santi-di-un-tempo/


Dal sito "RUVESI.IT"


“Ruvo di Puglia è un comune italiano di 25.574 abitanti della città metropolitana di Bari in Puglia. Fa parte del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, del quale ospita un ufficio operativo, ed era inclusa nella Comunità Montana della Murgia Barese Nord-Ovest. Vi ha anche sede il Museo Archeologico Nazionale Jatta che ha accresciuto la fama della città grazie alle migliaia di reperti archeologici di età ellenistica ivi conservati, tanto da assurgere a simbolo comunitario il vaso di Talos, pezzo pregiato della collezione. È inoltre il terzo comune per estensione della città metropolitana ed è una città dell’olio oltre che città d’arte”.
Così la nobile città di Ruvo di Puglia viene testualmente descritta su Wikipedia, l’enciclopedia online, ma a mio parere andrebbe aggiunto un altro appellativo: “Città di Settimana Santa”.
Infatti Ruvo, tra tutte le località pugliesi in cui vengono celebrati i riti della Settimana Santa (praticamente in tutte) è quella in cui si svolgono ben cinque processioni nell’arco di appena otto giorni (“Desolata”  il Venerdì di Passione, “Otto Santi”, “Misteri”, “Pietà” e “Cristo Risorto” dal Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua).
Ciò la rende molto simile, relativamente alla nostra realtà, alle tre città Andaluse che dallo Stato Spagnolo hanno fino ad ora ricevuto il riconoscimento di “Città internazionale della Settimana Santa” (Siviglia, già da lungo tempo, Granada nel 2010 e Màlaga nel 2012).
Anche l’alto numero di portatori delle Sacre immagini ricorda un po’ quelle città della Spagna in cui i “Pasos” vengono portati da un considerevole numero di “Costaleros” (a Siviglia) e di “Hermanos” (Granada, Màlaga e altrove).
Al di là però delle processioni, c’è anche da segnalare (cosa non da poco) che queste vengono precedute da una intensa preparazione spirituale, dal giorno delle Ceneri in poi, per tre giorni alla settimana e fino al quarto venerdì di Quaresima, consistente nella Adorazione della S. Croce che si svolge a turno nelle  chiese in cui hanno sede le quattro Confraternite locali (Purificazione Addolorata, San Rocco, Carmine e Suffragio).
Inoltre Ruvo, similmente a Molfetta, Bitonto e Taranto, può vantare un patrimonio di grande valore musicale per via delle marce funebri che vengono suonate al seguito delle processioni, quasi tutte opera di valenti Maestri locali tra i quali, su tutti, svettano i nomi dei fratelli Antonio ed Alessandro Amenduni; del primo è famosa “Il pianto dell’Orfano”, conosciutissima anche fuori dai confini cittadini ed apprezzatissima da tanti altri Maestri che la fanno eseguire dalle Bande Musicali da loro dirette non solo in Puglia ma anche in Sicilia e, da notizie recentemente apprese, addirittura nell’isola di Malta.
Se a tutto ciò si aggiunge la singolare tradizione della “Quarantana”, non è illegittimo affermare che la Settimana Santa “rubastina” è tra le più complete e suggestive, dal punto di vista religioso ed estetico, di tutta la Puglia, e che a buon diritto merita di essere conosciuta e divulgata.
Per questo motivo ho cominciato a frequentare la città di Ruvo da quando, conseguita la patente a diciotto anni (parliamo degli anni 1974/75), sono diventato autonomo nei miei trasferimenti fuori Molfetta per conoscere ciò che altrove avviene durante la Settimana Santa.
In quegli anni si poteva avere notizia delle tradizioni dei paesi limitrofi durante quei sacri giorni, solo attraverso il racconto di chi aveva personalmente, sporadicamente o per caso, assistito ai riti  e di Ruvo (nonostante la vicinanza a Molfetta) si conosceva assai poco; non esisteva ancora “internet” e non vi erano nemmeno libri sull’argomento.
Non si era ancora giunti al 1992, anno in cui vide la luce la pregevolissima pubblicazione di Francesco Di Palo “Stabat Mater Dolorosa” in cui, tra le altre “Settimane Sante” pugliesi c’era anche quella di Ruvo, seguita due anni dopo (dello stesso autore) da “Passione e Morte” che sancì la definitiva fama dei riti pasquali ruvesi.
A quell’epoca la processione dei Misteri di Molfetta, per una cattiva (o capziosa) interpretazione del “Novus Ordo” del 1955, non usciva più, da ormai una ventina d’anni, alle ore 4.00 del mattino del Venerdì Santo, ma al corrispondente orario del pomeriggio; pertanto, per poter rivivere (vivere,  nel mio caso, essendo nato proprio il 1955) quell’atmosfera che si creava con la negata uscita notturna, quale occasione migliore poteva esserci se non andare a Ruvo nelle prime ore del Giovedì Santo ed assistere all’uscita degli Otto Santi?
Ricordo, come fosse ora, minuto per minuto, tutte le sensazioni provate in quella indimenticabile nottata, che oserei definire da sogno.
Giunsi a Ruvo verso le ore 2.00 in compagnia di un amico (molto più grande di me e purtroppo scomparso da qualche anno) e fui colpito dalle strade deserte e dal silenzio che in esse regnava; ad un tratto il silenzio cedette il passo ad un lontano rumore cadenzato che man mano andava intensificandosi e facendosi riconoscere come un rullio di tamburo continuo, intervallato da un colpo di grancassa.
Ci dirigemmo verso quel suono e ben presto avvistammo, in effetti, un ragazzo dalla giovanissima età con il tamburo, accompagnato da un signore anziano con la grancassa, che suonavano i loro strumenti camminando con passo alquanto celere: erano i due musicanti che andavano per le  vie della città, facendo la cosiddetta “chiamata” ai confratelli.
Ci ritrovammo, quasi per caso, in un bar di via Avitaia, gremito di uomini intenti ad indossare quello che pensavamo fosse un abito confraternale (in realtà non erano confratelli, ma i portatori degli “Otto Santi” che si preparavano a raggiungere, già in abito di rito, la poco distante Chiesa di San Rocco) dalla quale avrebbe avuto inizio la processione; mi chiesi il perché di quella vestizione in un luogo diverso dalla chiesa, ed appresi ben presto che il titolare del locale, il signor Montaruli, era il capo di quella “squadra” di portatori.
All’ora stabilita dalla tradizione, ascoltammo nella adiacente piazza Menotti Garibaldi l’esecuzione della bellissima “Una lagrima sulla tomba di mia madre”, ben più nota con il nome del suo autore, Alberto Vella, siciliano nato a Naro.
La banda suonava nel silenzio assoluto, alla presenza di uno sparuto gruppo di quelli che, come noi, dovevano essere gli “irriducibili” ruvesi delle marce funebri, e le note si libravano nitide nell’aria freddissima di quell’ora notturna, coinvolgendomi in un turbinio di sensazioni che andavano dalla euforia alla esaltazione, perchè il mio pensiero andava a quanto doveva essere suggestiva l’uscita dei nostri Misteri alle 4.00 del mattino, alimentando ancor più in me il desiderio di vivere quegli stessi momenti a Molfetta.
Terminata l’esecuzione della marcia funebre, ci accodammo a quanti celermente raggiunsero piazza Matteotti per attendere l’uscita degli “Otto Santi” che, già  sistemati sui cavalletti immediatamente dietro l’angusto portone della Chiesa di San Rocco, furono poco dopo portati fuori al suono di “Eterno Dolore”, straziante marcia funebre di Evaristo Pancaldi.
Al cessare della musica il gruppo scultoreo del Caretta fu nuovamente appoggiato sui cavalletti e, dopo una breve preghiera, riprese il suo cammino per compiere il suo tradizionale itinerario notturno, imboccando via Modesti al suono di “Povero Ettore” di Francesco Porto.
Velocemente, per vie traverse, raggiungemmo la testa della processione per vedercela sfilare dall’inizio alla fine e fui colpito dalla compostezza dei partecipanti che, distanziati tra loro, procedevano in silenzio reggendo la candela accesa. Dalla nostra postazione, all’angolo tra via Modesti e via Cattedrale, era possibile vedere la processione praticamente nella sua interezza e  lì rimanemmo fino al passaggio delle Sacre Immagini, avvolte in una nuvola di incenso: pareva di vedere dal vero il trasporto di Gesù Morto al Sepolcro. Il silenzio (diversamente da quanto accade ahimè durante le nostre processioni) era tale che si sentiva lo strusciare dei piedi dei portatori sul pavimento stradale.
Erano intanto quasi le ore 4.00 del mattino e bisognava ritornare a casa.
Con questa “onirica” immagine impressa negli occhi, ripercorremmo in auto i quasi quindici chilometri della vecchia via che collega Ruvo a Molfetta, con il rimpianto di essere andati via così presto, ma con la consapevolezza di dover necessariamente riposare per affrontare, nel pieno delle proprie forze, tutti gli eventi dell’ormai sopraggiunto “Triduo Pasquale” molfettese.
Ho rivisto più volte, da allora, la processione degli “Otto Santi”; la vestizione dei portatori avviene ancora in quello stesso bar, ma la gente che assiste alla esecuzione di “Vella” in piazza Menotti Garibaldi e all’uscita del “Gruppo” dalla Chiesa di San Rocco è diventata da sparuto gruppo una grande folla (tra cui molti molfettesi) ed intanto a Molfetta l’uscita dei “Misteri” è ritornata alle tanto invocate e desiderate ore del primo mattino del Venerdì Santo.
Intatte sono però rimaste la serietà e la compostezza dei Confratelli di San Rocco e di chi assiste al passaggio delle Sacre Immagini, nonché tutto ciò che fa da contorno all’evento, creando anno dopo anno una atmosfera quasi surreale in cui pare che il tempo si fermi, anzi che le lancette dell’orologio tornino indietro, nel mio caso a quella lontana metà degli anni settanta del secolo scorso … e questo si chiama “rispetto della tradizione” in una città che può davvero essere definita “di Settimana Santa”.

* Testo a cura del dott. Francesco Stanzione.

sabato 5 marzo 2016

La Real Maestranza di Caltanissetta a Trapani

Una delegazione della Real Maestranza è stata accolta come sempre con tanto affetto a Trapani, invitata dall'Unione Maestranze in occasione della "Scinnuta" dei Misteri del Ceto calzolai e del Ceto macellai a sancire ancora una volta un rapporto di fratellanza che dura da sedici anni e che vede coinvolte le due maestranze in un progetto socio culturale, ma anche di rilancio dell'artigianato artistico e tradizionale, attraverso la formazione dei giovani nelle botteghe artigiane che rischiano sempre più di estinguersi.


La delegazione, guidata dall'assistente spirituale don Michele Quattrocchi con i Capitani Francesco Riggio , Calogero Castelli, Roberto Didio, Angelo Mossuto, Pasquale Tramontana, Michele Simone, il Presidente Gaetano Villanucci, il Vice-Presidente Giuseppe Tumminelli, il Segretario Gianluca Taibi, il Gran Cerimoniere Gianni Taibi, le Cariche Capitanali, Gaetano D'oca, Roberto Nicosia, Angelo Giuffrida, Massimiliano Bella e i rappresentanti delle Categorie artigiane Francesco Peregrino, Francesco Giuffrida, Aldo Buscemi, Filippo Aleo, Antonio Bollo Francesco Bollo. 
Alla fine della Santa Messa presieduta dal Vescovo della Diocesi di Trapani mons. Pietro Maria Fragnelli e concelebrata da don Michele Quattrocchi, mons. Fragnelli si è voluto soffermare con la delegazione nissena per la quale ha avuto parole di elogio. 
Il Presidente dell'Unione Maestranze Vito Dolce, insieme al Segretario Antonio Galia e al Consigliere Nicola Nola e al Vice-Presidente Leonardo Buscaino, ha invitato la delegazione nissena in una serata conviviale e di fraterna amicizia.


* Testo e foto a cura di Gianni Taibi.