A cura del prof. Cosmo Tridente
Il 23 settembre u.s. la Chiesa ha commemorato San
Pio da Pietrelcina (al secolo Francesco Forgione), beatificato il 2 maggio 1999
da Giovanni Paolo II e canonizzato il 16 giugno 2002 dallo stesso Santo Pontefice.
Padre Pio è stato uno dei più grandi
mistici della Chiesa, avendo ricevuto da Dio doni straordinari con i quali
operava conversioni e guarigioni. Infatti la sua attività apostolica, espletata
soprattutto nel confessionale, è stata sempre accompagnata da chiare
manifestazioni di interventi della bontà di Dio, che attraverso questo suo
servo fedele, leniva i mali delle anime e dei corpi dei suoi figli. Ma non
sempre la sua intercessione presso il Signore andava a buon fine.
A tale riguardo, desideroriportare un episodio raccontato da Padre Pellegrino Funicelli (in “Voce di Padre Pio” 1976) in cui il Santo
esprime tutto il suo rammarico per non aver potuto lenire le sofferenze di una nota
attrice, Titina De Filippo, sorella
di due grandi commediografi, Eduardo e Peppino De Filippo.
Costei era affetta da una grave
insufficienza cardiaca e nel 1958 si recò a San Giovanni Rotondo chiedendo di
poter incontrare il Cappuccino. Al momento dell’incontro, Padre Pio, con uno
sguardo dolce, calmo e fisso, scrutò Titina per un attimo, non come se la
vedesse la prima volta, ma come se avesse di fronte una vecchia conoscenza.
Le offrì un sorriso luminoso e rassicurante e di fronte alla richiesta di preghiere, avanzata dall’attrice, in un impeto di compassione e comprensione, le disse che da quello stesso momento lei poteva contare su tutte le sue preghiere per una guarigione.
L’offerta fu accettata da Titina
con genuina gioia temperata dalla realtà della malattia, ma raddolcita dalla
speranza. Padre Pio le mise con affetto la mano guantata sulla testa. Ed anche
Titina fu felice di mettere nelle sue mani la propria anima, ascoltando devota
e lusingata le parole di conforto dette dal Cappuccino.
Spesso succedeva che personaggi di successo ricevevano
da lui l'invito a fuggire il peccato e ad affidarsi alla preghiera, ripartendo
da San Giovanni Rotondo, se non guariti, almeno sereni e più forti nell'anima,
come capitò appunto a Titina De Filippo. All'amico Carlo Campanini (indimenticabile
spalla di Walter Chiari, soprannominato il “sacrestano di Padre Pio” per la sua
grande devozione al Santo), che alla sua morte vorrà essere sepolto nel
cimitero di San Giovanni Rotondo, il Santo una volta si lamentò: «Vedi, tutti mi chiedono di essere liberati
dalla croce, nessuno di essere aiutato a portarla».
Padre Pellegrino racconta che il
Frate delle stimmate, per non aver potuto strappare da Dio la guarigione per
Titina, con cuore amareggiato rivolse a Dio la seguente preghiera:
«Non mi ribello, Signore. Però convieni anche Tu che è un po’ troppo
amaro non poter esprimere a fatti verso una povera inferma il sentimento di
generosità, che Tu stesso hai messo nel mio cuore. Certamente io non posso dare
niente a nessuno se prima non ricevo da Te. E questa situazione, o per amore o
per forza, l’accetto con umiltà. Ma tu mi fai soffrire non tanto perché non mi
dai, quanto perché non mi metti in condizione di offrire qualcosa né a Te, né
ad altri. Tuttavia sia fatta la
Tua volontà, Signore».
Alcuni anni dopo, nel 1963,
Titina morì. Al suo funerale, a Napoli, c’era Vittorio De Sica, Totò, i due
fratelli naturalmente, Nino Taranto e quella Napoli che si è dissolta e non c’è
più. L’inglese Arthur Spurle, accanito collezionista e grande appassionato
della canzone e del teatro napoletani, scrive quello che forse è più di un
necrologio: “Si chiamava Titina De Filippo, ma il cognome nessuno glielo usava:
dicevano tutti, solamente, la
Titina”.
Padre Pellegrino apprese con
dolore la notizia e nel comunicarla a Padre Pio disse che alla prima occasione
sarebbe andato a deporre sulla sua tomba un fiore colto nell’orto del convento.
Il confratello era, infatti, un
appassionato della commedia napoletana e aveva grande ammirazione per Titina,
memorabile interprete di “Filumena
Marturano”, commedia teatrale in tre atti scritta nel 1946 da Eduardo De Filippo. La perfetta adesione al
personaggio di questa donna "da niente" che si sforza disperatamente
di sopravvivere, attraverso l'espressione via via pacata, interrogativa,
perentoria, accorata, sempre sul filo di un coerente ritmo interiore, e i
sospiri, i sussurri e i singhiozzi dosati con perfetta maestria, legò la
De Filippo a Filumena, al punto che
appariranno sbiadite le successive interpretazioni delle attrici che la
sostituiranno (al culmine della notorietà, nel luglio 1947, fu ricevuta in
udienza, con i membri della compagnia, dal Pontefice Pio XII e recitò il
"colloquio con la Madonna"
del I atto, ottenendone un commosso elogio).
Padre Pio si commosse e disse a
Padre Pellegrino: “Io per questa tua
amica, come per gli altri del resto, ho offerto a Dio tutti i dolori della mia
vita, senza nessuna riserva. Che avrei dovuto fare di più? Non si può forzare
la volontà di Dio oltre certi limiti. Il
fiore su quella tomba è già sbocciato. Dille piuttosto una messa”. Ma
quando Padre Pellegrino gli assicurò che la messa l’aveva celebrata, egli
sorrise: “Bene! Se proprio vuoi andare a
visitare quella tomba, di fiori portane almeno due: uno per te, uno per me”.
Poi aggiunse: “Faresti molto meglio ad
andare oltre il sentimento della simpatia, per vedere in lei i milioni di
sofferenti sparsi per tutto il mondo: l’amore così non diminuisce ma si
accresce e si perfeziona”.
E per finire, un giorno era da
lui un gruppo di devoti di Pietrelcina. Uno di essi gli ricorda: «Padre, Maria
insiste che quella grazia la vuole proprio!». «Digli cussì che Gesù Cristo quella grazia proprio non gliela vò fà: io
mica lo posso piglià pe' lu collo!» («digli così che Gesù Cristo quella
grazia non gliela vuol fare: io mica posso prenderlo per il collo!»). Con
quella frase il Santo di Pietrelcina prendeva umilmente atto della sua limitatezza di fronte alla volontà e ai
disegni di Dio.
* Testo a cura del prof. Cosmo Tridente.
* Foto tratte dal web.