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QUESTO SITO STA CON IL PAPA

Online da lunedì 29 ottobre 2007 - Visualizzazioni totali

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sabato 31 ottobre 2009

L' Ottavario dei Defunti

A cura del prof. Cosmo Tridente.

Come annunciato su questo sito dal priore in carica dell’Arciconfraternita della Morte, dott. Franco Stanzione, dal 2 al 9 novembre sarà tenuto presso la chiesa del Purgatorio il tradizionale ottavario per i defunti. Soprattutto per i tanti lettori di questo sito, bramosi di conoscere le radici delle tradizioni, desidero qui soffermarmi brevemente su questa pia pratica.
L’ottavario per i defunti è un’antica consuetudine che consiste nel suffragare, per otto giorni consecutivi, le anime del Purgatorio con preghiere, con la confessione, con la comunione e opere di carità. Perchè “ottavario”?
L’origine è da attribuire a San Nicola da Tolentino, frate agostiniano vissuto nel XIII secolo. Si dice
una notte si trovava in un convento agostiniano presso Pesaro e mentre dormiva, in sogno sentì una voce che lo chiamava lamentandosi: “Frate Nicola, uomo di Dio, guardami. Sono frate Pellegrino da Osimo che da vivo hai conosciuto. Sono tormentato in questa fiamma. Dio, accettando la mia contrizione, non mi ha condannato alla pena eterna ma per sua misericordia alla pena del Purgatorio. Ti prego dunque umilmente di celebrare la Messa dei defunti per liberarmi da queste fiamme”. Nicola gli rispose: “Ti aiuti, fratello, il mio Salvatore dal cui sangue sei stato salvato; ma io, sono incaricato di celebrare la Messa conventuale, soprattutto domani che è domenica, il cui rito liturgico si deve rispettare, non posso celebrare la Messa dei defunti”. E frate Pellegrino di rimando: “Vieni, venerando padre, vieni e considera se ti sembra conveniente respingere senza pietà l’appello di tanta misera gente che mi ha mandato”. E gli mostrò la pianura verso Pesaro piena di gente. Poi soggiunse: “Abbi pietà, Padre, di una moltitudine tanto misera che aspetta il tuo aiuto tanto utile. Infatti, se vorrai celebrare per noi, la maggior parte di noi sarà liberata da questi atroci tormenti”. Risvegliatosi, Nicola cominciò a pregare, e poi chiese il permesso al priore di celebrare per tutta la settimana la Messa per le anime del Purgatorio. Trascorsa quella settimana, frate Pellegrino gli apparve di nuovo, ringraziandolo per averlo sottratto dal Purgatorio e riferendogli che gran parte delle persone che aveva visto in sogno nella piana di Pesaro già godevano della gloria di Dio.
Nell’ottavario, la Chiesa raccomanda ai fedeli di pregare il Signore affinchè ascolti la voce di chi invoca clemenza: De profundis clamavi ad te, Domine: Domine exaudi vocem meam, (salmo 129 ) o misericordia: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam ( salmo 50).
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Antica statua dell' Addolorata
presso la cappella gentilizia dell' Arciconfraternita della Morte
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In passato, l’Arciconfraternita della Morte esternava in suffragio dei defunti una singolare consuetudine: nel pomeriggio del 1° novembre (festa di tutti i Santi) andava in giro per le strade della la città un confratello munito di vestiario dell’Arciconfraternita, seguito da un ragazzino che scuoteva in continuazione un campanello per richiamare l’attenzione della gente. Il confratello chiedeva le oblazioni per l’anima dei morti. L’eco di quel campanello destava un certo senso di angoscia e tristezza nell’animo dei molfettesi, perché annunciava il sopraggiungere di un giorno diverso dagli altri, ossia quello della commemorazione dei defunti. Tale consuetudine fu soppressa nel 1968 durante il priorato di Saverio Minervini.
Concludo queste note, sperando che altri, come me, siano stati appagati nel desiderio di capire, giusta un verso di Virgilio (Georgiche, II, 489): Felix qui potuit rerum cognoscere causas.
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* Testo del prof. Cosmo Tridente.
* Foto tratta da http://www.arciconfmorte.com .

giovedì 29 ottobre 2009

Il sito "La mia Settimana Santa" compie due anni

Sembra che sia passato tanto tempo da quando il 29 ottobre 2007 mi venne l' idea di realizzare un blog tutto mio su quella che è la più grande passione della mia vita: la Settimana Santa.
E fu così che, senza alcuna pretesa, creai questo blog che oggi compie due anni.
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"La mia Settimana Santa" è diventato però, in questi ultimi due anni, un punto di riferimento per tutti quelli che condividono la mia passione.
Ricevo giornalmente visite non solo dall' Italia ma anche dal resto del mondo, in particolare dagli U.S.A., dalla Spagna, dalla Svizzera, dalla Germania, dal Regno Unito, dalla Francia e da Malta, ma non mancano i collegamenti dalle più disparate nazioni, anche lontanissime, quali l' India, l' Australia, il Perù e perfino il Kenia.
Sembrerei presuntuoso se riferissi di quante e-mail di consenso ricevo quotidianamente.
Voglio citare solo alcune cifre.
Nel primo anno ci sono state 32.893 visite, nel secondo, fino a ieri, 62.810 (il doppio dell' anno precedente), per un totale di 95.703 in due anni, con 159.280 pagine viste ed una media nell' ultimo anno di 172 collegamenti al giorno ... non male davvero.
Non voglio aggiungere altro perchè le cifre esposte la dicono lunga sul gradimento che incontra quanto da me viene diffuso sull' argomento Settimana Santa.
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Una anticipazione: non so ancora quando, ma tra non molto "La mia Settimana Santa" farà un grosso salto di qualità, diventando un sito a tutti gli effetti dal punto di vista della grafica e della navigabilità.
Ho già affidato la elaborazione di questo progetto ad un webmaster professionista.
Il blog così come è ora e così come ha incontrato il favore di tanti visitatori, rimarrà sempre accessibile per gli aggiornamenti, ma dal sito.
Certamente tra un paio di mesi, quando terminerà il mio mandato di Priore dell' Arciconfraternita della Morte, dedicherò a questa meno spazio, ma spero nel contempo di ampliare gli orizzonti di quello che è il vasto mondo della Settimana Santa in Italia e nel mondo, descrivendo tante altre realtà sin qui trascurate, a partire dall' altra mia amatissima Arciconfraternita di S. Stefano.
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* Testo di Franco Stanzione.

mercoledì 28 ottobre 2009

Dopo un secolo il vecchio Cristo Morto della Pietà ritorna nella Chiesa del Purgatorio

L' ultima "fatica" della mia Amministrazione dell' Arciconfraternita della Morte si è compiuta questa mattina, con il ritorno nella Chiesa del Purgatorio, dopo un secolo, del vecchio Cristo Morto della Pietà, dopo un altro mirabile restauro ad opera degli andriesi Valerio Iaccarino e Giuseppe Zingaro, che un anno fa hanno restaurato le statue del Sabato Santo e l' Addolorata.
Il Cristo Morto di cui parlo è proprio quello sostituito con l' attuale da Giulio Cozzoli nel 1908, da allora e fino al 1964 tenuto nella chiesetta della Morte, poi trasferito nel Seminario Vescovile ed attualmente ospitato nel Museo Diocesano.
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La decisione di concludere il mio mandato restituendo all' Arciconfraternita un altro frammento della sua storia, è stata partorita non più di qualche mese fa, in piena estate, dopo la inaugurazione del nuovo Museo Diocesano.
Certamente le vecchie statue processionali del Sabato Santo, sempre appartenenti all' Arciconfraternita della Morte, costituiscono un grande patrimonio di questo venerabile sodalizio, per cui si è pensato che, almeno il Cristo della Pietà, ridotto ormai in condizioni estreme, doveva essere senz' altro riportato al suo aspetto originario, considerandone anche la attuale prestigiosa collocazione in una stanza del Museo tutta dedicata a loro.
Alle ore 10,00 e con la consueta puntualità, i restauratori hanno riportato a Molfetta il Cristo che, prima di essere riportato nel Museo Diocesano, sarà esposto nella Chiesa del Purgatorio per tutta la durata dell' Ottavario ai Defunti che sarà celebrato dal 2 al 9 novembre.
E' stato molto emozionante per me rivedere questo Cristo nella sua casa naturale, in cui è stato per due secoli in grembo a sua madre; ed ancora più emozionante è stato considerare che anche la paternità di questo evento è della mia Amministrazione.
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Nelle foto seguenti spero di dare una idea della situazione in cui versava questa statua che, dopo il restauro, si è rivelata una pregevole opera di artigianato collocabile tra la fine del milleseicento e gli inizi del millesettecento, in perfetta coerenza con le fonti storiche che attribuiscono già da quell' epoca la proprietà, da parte dell' Arciconfraternita della Morte, di una statua della Madonna del Pianto e di un Cristo Morto, secondo quanto segnalato nella visita pastorale di Mons. Salerni del 1715.
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E' evidente la differenza tra il prima ed il dopo.
Di tanti particolari inerenti questo restauro, ne parlerò in altra sede, dopo il termine del mio mandato di Priore.
Ora è inutile, atteso che sicuramente spunterà il solito "demiurgo del nulla" a dire la sua; ... e proprio per questo adesso è inutile che io dica la mia ... ma la dirò ... eccome che la dirò ...
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* Testo e foto di Franco Stanzione.

venerdì 23 ottobre 2009

Tradizioni e Riti Quaresimali scomparsi

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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Le persone meno giovani ricorderanno che nel 1955, essendo pontefice Pio XII, con rescritto papale della Sacra Congregazione dei Riti, venne pubblicato il “Novus Ordo” che riformava le funzioni liturgiche della settimana santa. Oltre a cambiamenti relativi alla durata e allo svolgimento, si stabiliva che le funzioni del giovedì, del venerdì e del sabato santo non avessero più luogo nelle ore del mattino, bensì in quelle del pomeriggio, per quanto concerne il giovedì e venerdì santo e, per quanto riguarda invece il sabato santo, in ora notturna, onde consentire la “veglia pasquale”, come appunto accadeva secondo la più antica tradizione dei primi secoli del cristianesimo.
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Ritirata della Pietà (1930)
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Quella che apparve una innovazione rivoluzionaria, produsse una serie di mutamenti innovativi a partire dal 1956 causate sia dal costume di vita che necessariamente si rinnova, sia dall’ondata di rigenerazione che ha sommosso la Chiesa con l’avvento del Concilio Vaticano Secondo, iniziato dal pontefice Giovanni XXIII.
Molte sono le cose scomparse. L’abolizione del “Tempo di Settuagesima”: comprendeva le tre settimane che precedono immediatamente la Quaresima, cioè Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima. Questo tempo era considerato come un periodo preparatorio alla Quaresima. Nella forma odierna del rito romano, il tempo di Settuagesima ha lasciato il posto al “Tempo Ordinario”. La soppressione nella messa dell’«Alleluia» (“Alleluia” significa “Lodate Dio”; la sua etimologia risale a due radici ebraiche “Hallelu”=lodate e “Jah”=Dio) e del «Gloria in excelsis»; l’introduzione nei paramenti sacri del colore violaceo (il viola è un colore che indica un tempo di attesa e preparazione); il velamento delle sacre immagini; la sparizione dalle cappelle in cui il giovedì santo è allestito l’altare della reposizione delle corone di spine o di altro segno della Passione, giacchè il Repositorio è il luogo dove si pone l’Eucarestia, di cui si celebra l’istituzione, e non il luogo della sepoltura di Gesù; la spogliazione degli altari dopo la messa in “Coena Domini”, nel ricordo della denudazione di Gesù fatta dai soldati prima della crocifissione.
Nell’adorazione della Croce, la stessa viene portata all’altare già scoperta, non più celata da un velo violaceo, per cui lo scoprimento della Croce avveniva in tre tempi: la parte superiore, il braccio destro, l’intero restante, mentre il celebrante intonava “Ecce lignum Crucis, in quo salus mundi pependit…”(Ecco il legno della Croce, a cui fu sospesa la salvezza del mondo…”) e il coro rispondeva “Venite, adoremus” (venite, adoriamo).
Prima del Novus Ordo ai fedeli che avevano assistito alla celebrazione della funzione liturgica del venerdì santo, non veniva distribuita la Comunione. L’unico a comunicarsi era il sacerdote celebrante con l’ostia che era stata consacrata il giorno precedente e rinchiusa nell’urna dell’altare della Reposizione.
Altra usanza era quella di adornare i Sepolcri (le sebbùlche) delle chiese con piatti nei quali si facevano germogliare, alcuni mesi prima, semi di grano, lupini o lenticchie. I fasci dei lunghi steli venivano legati con nastri variopinti e portati nei Repositori. In qualche chiesa il rito dei piatti sembra rivivere.
Con il sopraggiungere della Quaresima, le famiglie tradizionalmente si preparavano a pulire le loro case, mettendo a soqquadro tutto l’ambiente casalingo, al fine di prepararsi ad accogliere degnamente la Pasqua con spirito innovativo di fede e di pulizia degli ambienti.
A mezza Quaresima (il giovedì che precede la quarta domenica di Quaresima) le famiglie si riunivano in campagna per rompere un recipiente di creta (la pegnéte) che veniva riempita di néuesce (noci), necìedde (nocelle), fàiche seccate (fichi secchi), castégne du prévete (castagne del prete), lepàiene (lupini), cìcere e fàve (ceci e fave abbrustoliti) e, col passar del tempo, anche caramelle e cioccolate. Così riempita, la pignatta veniva sospesa ad un paio di metri da terra e gli adulti, bendati e armati di bastone, dovevano cercare di romperla per il divertimento dei più piccoli. Questa usanza era il pretesto per ritrovarsi all’aria aperta primaverile e mangiare insieme u calzòene, una focaccia ripiena di pesce fritto spinato (le nùzze stùbete), cipolle (cepòdde spenzale), olive denocciolate, cavolfiore. Si tratta di una specialità gastronomica che resiste ancora ma ha perduto il suo simbolismo quaresimale in quanto “il calzone” lo si può acquistare nelle varie panetterie in tutti i mesi dell’anno.
Nella città vecchia (ind’ alla tèrre) si esponeva la quarantana (la quaréndéne). Si trattava di una fantoccia ingobbita, vestita di nero, che veniva appesa ad una corda e simboleggiava la Quaresima. Ai piedi di questa fantoccia si metteva un’arancia o una patata nella quale erano infilate sette penne di gallina: queste erano le sette settimane che separano il Carnevale dalla Pasqua. Allo scadere di ogni settimana si toglieva una penna per cui, con il sopraggiungere della settimana santa, l’arancia o la patata restava completamente spennata e la fantoccia veniva incendiata alla presenza della folla esultante.
Circa l’interpretazione antropologica di questa grottesca figura, in molti centri pugliesi la quarantana è considerata la moglie “del gaudente e crapulone Carnevale, la cui morte violenta la costringe, ovviamente, al lutto, fatto di privazioni alimentari e sessuali; necessarie non solo per rispettare le regole connesse al suo stato di vedova, ma anche per far fronte alle malefatte e agli eccessi della buonanima di suo marito”.
Un tempo l’apparizione della quarantana per le strade rappresentava l’inizio dei digiuni e delle astinenze rituali. Da tutte le mense venivano banditi la carne e i salumi. Al loro posto era ammesso il consumo di verdure, pesce e baccalà, quest’ultimo, cotto sui carboni e condito con olio crudo, limone e pepe. I venerdì di Quaresima erano invece per i più devoti, al pari del venerdì santo, giorni di digiuno e di commemorazione della Passione e Morte di Cristo.
Durante la settimana santa, i bambini non giocavano per strada né schiamazzavano perché gli adulti li esortavano a stare zitti perché Cristo era morto. Il giovedì, venerdì e sabato santo, la RAI sospendeva la normale programmazione radiofonica (la TV non ancora esisteva) e trasmetteva musica sacra o sinfonica in segno di lutto. Per me era una vera e propria penitenza non ascoltare in quei giorni le rinomate orchestre dirette da Armando Fragna e Cinico Angelini, con i cantanti Carla Boni, Gino Latilla, il Duo Fasano, Giuseppe Negroni, Clara Iaione, Nilla Pizzi, Vittoria Mongardi e altri.
A volte, particolarmente nel centro storico, si udivano grida di dolore e di disperazione al passaggio della Pietà, provenienti da donne oppresse da qualche dramma familiare: Médonne Ndelórate aiùteme! (Madonna Addolorata aiutami!), Médonne Ndelórate fàmme la grazie! (Madonna Addolorata fammi la grazia!), Médonne Ndelórate né me sì abbéndenénne! (Madonna Addolorata non mi abbandonare!), Médonne Ndelórate tàue sé re giùste! (Madonna Addolorata tu conosci la verità!).
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La Pietà in via Piazza alle ore 2,00 del Sabato Santo

(anni '50)

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La statua di Cristo Morto, durante la processione del venerdì santo, sostava nel Duomo, nella chiesa di San Pietro, nella Cattedrale, nella chiesa di San Domenico e dell’Immacolata dove si recitavano alcune salmodie e si cantava il “Vexilla regis prodeunt”.
Lungo il percorso processionale, i commercianti, spegnevano le loro insegne luminose e abbassavano per metà le serrande dei loro negozi in segno di rispetto. I macellai ritiravano temporaneamente, all’interno del loro sito di vendita, agnelli e capretti macellati, esposti in bella vista. Ora questa vista, un po’ raccapricciante, diciamolo pure, ci viene risparmiata ma per le povere bestie la sorte non sembra essere di molto cambiata: finiranno, fatte alla brace o al forno tra patate e piselli, sulle tavole pasquali
Quando la Pietà rientrava nella chiesa del Purgatorio, la gente pregava e implorava: Médonn’a benedètte, cuss’énne t’émme viste, spériéme ca te vedìmme u énne ca viene! (Madonna benedetta, quest’anno ti abbiamo vista, speriamo di vederti l’anno venturo!).
In prossimità del tamburo (u témmurre), si posizionava un venditore di tarallini zuccherati (tarall’è zucchere) appesi a ciuffi ad un triangolo di legno, innalzato da un’asta. Il triangolo rappresentava simbolicamente la saettìa, cioè la figura geometrica del triangolo sul quale ancora oggi, nella chiesa di Santo Stefano, si pongono le candele che vengono spente una per una alla fine di ogni salmo cantato.

La saettiera dell' Arciconfraternita del SS. Crocifisso

(Sessa Aurunca - CE)

Nella veglia pasquale, con lo sciogliersi delle campane era consuetudine in Cattedrale liberare delle colombe in segno di pace. Le sirene degli opifici e delle navi ancorate al porto urlavano a distesa e la gente per strada si scambiava gli auguri annunciando: Av’abbevescèauete Criste!... Av’abbevescèauete Criste!...
Non c’è dubbio che la tradizione si rinnova. Anzi, conserva le testimonianze del proprio passato che è dolce ricordare nei giorni futuri, come direbbe Virgilio (Eneide I, 203): “Forsan et haec olim meminisse iuvabit”.

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* Testo del prof. Cosmo Tridente.
* Foto dall' archivio personale del dott. Franco Stanzione.

martedì 20 ottobre 2009

Dal 1° al 15 novembre 2009 - Chiesa della Morte Mostra fotografica di Giuseppe Carucci

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Dal 1° al 15 novembre, presso la Chiesa della Morte, nel centro storico di Molfetta, organizzata dall' Arciconfraternita della Morte, sarà allestita una Mostra del fotografo tarantino Giuseppe Carucci, dal tema
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Arciconfraternita della Morte dal Sacco Nero
e culto dell' Addolorata
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Giuseppe Carucci mi contattò qualche giorno prima della processione dell' Addolorata di quest' anno, comunicandomi la sua intenzione di realizzare un servizio fotografico su di essa e chiedendone contestualmente la autorizzazione.
Io sono sempre stato molto aperto a questo genere di iniziative e risposi affermativamente, dandogli carta bianca di agire come meglio avrebbe ritenuto, raccomandandogli però la massima discrezione, cosa che a Giuseppe Carucci non è mancata, essendo in fondo anche lui un "addetto ai lavori" in fatto di processioni della Settimana Santa; egli è infatti confratello delle Confraternite del Carmine e dell' Addolorata di Taranto, nonchè portatore delle Sacre Immagini.
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Una selezione da questo servizio fotografico sarà oggetto della Mostra che sarà inaugurata il 1° novembre prossimo alle ore 18,30.
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Tutti sono invitati ad intervenire.
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* Testo di Franco Stanzione.
* Foto di Giuseppe Carucci www.caruccifotografia.it

lunedì 12 ottobre 2009

Digiuno quaresimale e noterelle storiche

A cura del prof. Cosmo Tridente.
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Come ogni anno la Chiesa, durante il periodo quaresimale, invita tutti i cristiani al digiuno e astinenza per vivere più intensamente il mistero pasquale.
Oggi, lo sappiamo bene, il digiuno viene riscoperto per diverse ragioni. E’ una misura salutistica per i nostri corpi appesantiti da un’attitudine consumista divenuta sempre più evidente nei Paesi ricchi: siccome si mangia più di quanto è richiesto dal corpo, allora in nome dell’estetica e del benessere fisico ci si sottopone a diete e digiuni. Ancora, vi è chi digiuna per motivi politici: il digiuno viene allora ostentato e mostrato, reso altamente eloquente dai mass media, come strumento di pressione e di lotta.
Questi volti del digiuno non vanno biasimati, ma piuttosto considerati per riflettere e far emergere con chiarezza la specificità del digiuno cristiano. Il digiuno e l’astinenza, insieme alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità, appartengono, da sempre, alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondono, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell’aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre. Per fare questo occorre saper dire dei “no”, fare opera di resistenza e di lotta, sapersi privare di qualcosa anche se buona e vivere tutto questo non solo a livello di pensiero, ma anche con il corpo.
E a proposito di digiuno, desidero qui riportare alcune noterelle storiche, scritte dal prof. Giuseppe Poli, Ordinario di Storia Moderna presso l’Università degli Studi di Bari, che doverosamente ringrazio.
Nel 1537 fu invitato in loco un quaresimalista (dotto e valente oratore che con le sue avvincenti e persuasive argomentazioni, illustrava la Quaresima attraverso una non comune eloquenza) che comportò per l’Amministrazione Comunale di Molfetta una spesa di circa 10 ducati. In base ai prezzi correnti a quell’epoca, quella somma equivaleva al valore di un quarto di vigna ad oliveto-mandorleto: cioè alla migliore qualità di terra che allora poteva essere oggetto di compravendita. L’importo sostenuto per il quaresimale era comprensivo di tutto quanto fosse necessario alla sua permanenza: dalla legna per il riscaldamento al vitto per la sussistenza. Scorrendo il rendiconto delle spese, si resta colpiti dalla frugalità della dieta cui egli fu sottoposto per tutto il periodo della Quaresima. Con regolare monotonia i suoi due pasti giornalieri consistevano in una porzione di pesce azzurro (per lo più sarde), un po’ di pane (non sempre di grano) e verdura (insalata, finocchi, cime ecc.); il tutto innaffiato con una modesta quantità di vino. Questa dieta ebbe inizio il 14 febbraio, giorno delle Ceneri, e si concluse soltanto a Pasqua che quell’anno cadde il 1° aprile. Solo a quella data il nostro quaresimalista ebbe la possibilità di variare il suo pasto e gli fu offerta della carne di capretto, uova e formaggio, nonché la solita quantità di vino. Per il giorno di Pasquetta egli mangiò ancora uova e ricotta, e così nei giorni seguenti, alternando le uova alla carne, fino al giovedì successivo quando, probabilmente, ripartì da Molfetta.
Per quanto frugale, il trattamento riservato al predicatore non deve farci dimenticare che rappresentava comunque una condizione di privilegio che molti suoi contemporanei avranno certamente invidiato. Se la semplicità di quella dieta era imposta dalla religiosità comune e dallo status ecclesiastico, va tuttavia ricordato che digiuno e astinenza erano la condizione permanente in una società che si misurava quotidianamente con i problemi alimentari.
Per fortuna non a tutti toccava le medesima sorte e qualcuno si sottraeva al destino di un’alimentazione povera ed insufficiente. Così tra carte conservate negli archivi locali, il prof. Poli ha potuto leggere di un buontempone che durante la Quaresima aveva rotto la tradizionale astinenza dalla carne. L’episodio è riferito da un non meglio precisato don Adurno Scaturro il quale, “per sgravio (della sua) coscienza”, asserisce di aver appreso che un tale Telemaco Esperto era stato visto “magnarsi una pignata de turdi (tordi) nel corso della Quaresima del 1606”. Per sottolineare la volontà deliberatamente trasgressiva del protagonista, il cronista afferma che “detto Telemaco non solo havea magnato turdi ma similmente una frittata d’ova” (sic!).
Non conosciamo la conclusione di questo episodio. Ma, considerati la rigida disciplina della Chiesa a quei tempi e alcuni riferimenti contenuti nel documento, possiamo supporre che l’incauto Telemaco incorse certamente in qualche spiacevole inconveniente. Lo Scaturro ricorda, infatti, l’odissea di un suo parente che, accusato di aver praticato arti magiche, aveva dovuto recarsi inutilmente ad Andria e Bari per ottenere l’assoluzione.
Più fortunato, invece, fu l’Arciprete don Marcello de Luca il quale, in verità, non infranse i divieti della Quaresima ma si riferisce ad abundantiam in occasione del pranzo Pasquale, “Questo don Marcello – scrive nella sua cronaca un po’ pettegola il quasi coetaneo canonico Girolamo Visaggio - fu huomo d’ottima conversazione, di gran lepidezza, particolarmente al gioco; al mese di Aprile, si fece una buona tabola e avendo contratto un gran indigestione nella pasca dell’anno 1710, burlando, burlando, passò in miglior vita”.
“Così va spesso il mondo”, direbbe Alessandro Manzoni (Cap.VIII).
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* Testo del prof. Cosmo Tridente.
* Foto tratta dal web.